Nella sofferenza psicologica e nel disturbo psichiatrico la cura della persona è molto, ma sempre più spesso è il “sentirsi voler bene” da chi ti sta di fronte o accanto che diventa il tutto. La relazione profonda fra persone e il senso della propria dignità rispettata sono il punto di una “ cura che si fa speranza”.
L’esperienza dell’accoglienza, di una Casa che accoglie e il dolore che occupa continuamente la mente sono situazioni che riguardano prima di tutto “una persona che vale per quel che è ”. Solo l’incontro fra due umanità può portare a cercare insieme la speranza di poter stare bene o di re-imparare a voler bene.
Ne parliamo con Adele Tellarini, neuropsichiatra infantile presso l’ASL di Bologna e Responsabile della Casa di accoglienza S.Giuseppe e S.Rita di Castelbolognese, che proprio in questi giorni ricorda i vent’anni di un’Opera che ha generato tante occasioni di bene e altre “case” per l’accoglienza, l’educazione, il lavoro e la speranza.
“ L’esperienza della Casa d’Accoglienza in cui da anni vivo e condivido le storie di bambini, adolescenti e di alcune donne o mamme sole, mi ha cambiato profondamente ed ha cambiata la mia modalità di stare nella quotidianità con i nostri ospiti e con i miei pazienti al lavoro.
Nella nostra casa desideriamo vivere una familiarità con le nostre ragazze, ed educarle alla vita attraverso la quotidianità con il desiderio che incontrino un punto di bellezza anche attraverso il bello che c’è (casa, luoghi, amici).
Oggi è chiaro per me che non c’è cura se non in una posizione di speranza, che non è altro che uno sguardo alla persona in quanto tale. Ciò che definisce la persona non è né il dolore che incontriamo, la malattia che riconosciamo o il dissesto umano che vediamo e con cui dobbiamo fare i conti, la solitudine e a volte la disperazione, ma piuttosto la persona che vale per quel che è e per il destino buono a cui e chiamata.
È evidente che poter fare un pezzo di strada insieme diventa possibile solo si è disponibili ad un rapporto, ad una relazione profonda, e a rinnovare ogni giorno la dimensione di gratuità.
Vediamo che anche nell’esperienza coi pazienti psichiatrici adulti che accogliamo nei nostri laboratori artigianali è attraverso rapporti semplici, quotidiani, e significativi, attraverso il lavoro insieme, attraverso l’attenzione e l’ ascolto che accade in loro una possibilità di sperimentare una positività che è una “dignità mai pensata per la propria vita”, come diceva la mia cara amica Novella, fondatrice dell’Opera.
Ciò che è accaduto in questi anni, mi ha insegnato con evidenza che la possibilità di un cambiamento per queste persone implica me, mette in gioco la mia persona.
Le nostre ragazze ci hanno testimoniato che ciò che sostiene è un punto di bene che incontri, da cui ti senti abbracciato e accompagnato e questo diventa una possibilità nuova per la vita, un punto di speranza che nel tempo si sviluppa.
Ciò che aiuta infatti è una relazione in cui due umanità si incontrano e dentro questo rapporto si introduce la positività di un bene all’altro che diventa nel tempo una possibilità di mobilitare la domanda di felicità, la domanda di bene, la domanda di ricerca di benessere, di prendere sul serio quel che uno è.
Una ragazza ci ha messo in evidenza che è una positività di sguardo che permette un cambiamento. Ecco la testimonianza, con cui ricorda – dopo diversi anni- la sua esperienza alla Casa.
“Sono arrivata alla Casa all’età di 15 anni con una storia familiare non delle migliori, turbata fisicamente e moralmente, ero un’adolescente scontrosa e arrabbiata con il mondo e con la vita. I primi 2 anni devo dire sono stati i più difficili, non volevo andare a scuola, avevo rabbia e a volte violenza, non ne volevo sapere di regole, volevo vivere come volevo io. Mi sentivo in lotta con tutti e colpevolizzavo le persone che mi stavano vicino, e non capivo che con il passare del tempo i volti delle persone che mi circondavano, sarebbero stati pezzettini che si sarebbero posati sul mio cuore colmando le ferite che la vita fino all’ora mi aveva recato.
Durante le giornate, mesi, gli anni avere quei volti sempre presenti, hanno sconvolto la mia vita, ho cominciato ad appassionarmi a tutto ciò che facevo impegnandomi.
Volevo bene a quelle persone, e non si parla di bene dovuto all’obbligo della convivenza, ma quel bene che si vuole ad un genitore, il bene che voglio a mia sorella, non un bene superficiale e scontato.
In questa Casa ho imparato ad emozionarmi anche per le più piccole cose, a guardare le persone con sguardo diverso, ad ascoltare gli altri, e soprattutto che la vita ce la costruiamo noi, e dobbiamo cercare di essere ogni giorno migliori, perché anche se siamo stati un po’ più sfortunati di altri bisogna sempre lottare”.
Dice Adele Tellarini: “La scommessa è ricominciare ogni giorno e non mollare sulla questione educativa nonostante le fatiche e le delusioni .
Anche in queste settimane con una nostra ragazza, che dolore, ma anche che mortificazione ho sentito nel guardarla cosi distrutta dalla rabbia per la sua storia familiare devastata da ciò che ha subito e che la fa agire con disperazione e disordine. Ho provato un senso di impotenza rispetto a chi avevo davanti perché così sofferente, così segnato e a volte così immobile e invischiato nei propri meccanismi. Capisco che solo se mi permetto di percepire il dolore di chi ho davanti, emerge in me il desiderio di rischiarmi di più, e di pormi con pazienza, cioè con la disponibilità di portare sulle mie spalle ciò che è lei, partire con lei e lottare con lei perché si apra la libertà di farsi aiutare.
Spesso si rischia di essere giudicanti e analitici e non in ascolto della loro disperazione, delusione e confusione generata dalle loro storie affettive.
Tutte queste storie mi rendono più decisa nel lavoro che faccio e capisco sempre di più che curare ed educare è introdurre e comunicare ciò che sostiene la mia vita. In questo senso capisco quello che diceva Don Camisasca, che Dio è la parola più laica che esiste.
A una mia paziente, da due anni lei è morta improvvisamente la sorellina più grande con cui stava sempre e condivideva tutto. Dal giorno in cui è morta ha cambiato casa: casa nuova, mobili nuovi e nessun ricordo del passato. Dalla scomparsa della sorellina nessuno in quella casa si è permesso di piangere, né di ricordare insieme, né di andare al cimitero insieme, ognuno si è tenuto faticosamente il suo dolore probabilmente per un falso rispetto e bene dell’altro.
La bimba è in osservazione da qualche tempo per un’insonnia grave e perché riferisce di vedere alcune ombre in casa. Dopo i dovuti esami di accertamento mi sono rischiata sentendo il suo dolore, la sua voglia di piangere, tanto che ho fatto il colloquio commossa, piangendo io per prima e comunicandole che avvertivo quanta voglia aveva di animare quella casa vuota (che chiama casa nemica), quanta solitudine perché non è stata condivisa nel suo dolore, nonostante il suo viso sempre sorridente e quanta voglia aveva di ricordare e parlare di sua sorella che la vive solo come mancanza, come assenza, ma invece c’è, le ha lasciato il suo bene ed insieme ne possiamo parlare e guardare ciò che comunque le è stato dato e soprattutto insieme è possibile condividere il suo dolore.
Quel colloquio è stato un “incontro”, si è aperto uno squarcio positivo e forse mi è sembrato che questa bimba abbia toccato il vero di cui ogni uomo ha bisogno. Questa piccola paziente, si è aperta immediatamente, ha manifestato i sentimenti che ha dentro, disegnando un cuore grigio dove ha scritto solitudine, malinconia, angoscia, rabbia e vicino ha disegnato un cuore rosso dove ha scritto di getto i desideri del suo cuore: felicità, gioia, serenità, compagnia e libertà.
Nella seduta successiva parlandomi del “piccolo principe” mi ha parlato di libertà, che lei vuole essere libera e quindi libera anche di comunicare il suo dolore. Mi ha detto “perché dimenticare?” no, devo ricordare e ci siamo aiutati a ricordare, a fare memoria senza far fuori nulla del suo passato e del presente
Anche questo piccola esperienza mi dice che la speranza che ho incontrato non può non essere comunicata.”
Oggi la “Fondazione Casa Novella” raccoglie tutte le iniziative e le opere costruite in questi vent’anni. Educatori, operatori, volontari e benefattori sono il punto di aiuto per tante persone, che quotidianamente frequentano i Laboratori, le Case, le Botteghe, i Centri di aiuto allo studio. Accordi e convenzioni con le Istituzioni pubbliche, i Servizi sociali, l’AUSL integrano un impegno di accoglienza e di rispetto della dignità della persona nella speranza che la felicità sia raggiungibile da tutti.