Non vogliamo enfatizzare un problema, né desideriamo raccogliere le notizie di cronaca, ma aprire un dibattito un pochino più diretto e consapevole sull’adolescenza fragile e spavalda, direbbe lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, sul disagio adolescenziale, toccato sia da vecchie forme di disaffezione e di abbandono nei confronti della scuola, ma anche da nuovi e frequenti fenomeni di violenza (verbale, psicologica, mediatica, fisica) subita, ma anche agita.
Con il loro comportamento gli adolescenti di oggi mostrano la tendenza a ricorrere, più spesso che in passato, ad atti violenti, senza, per fortuna e sperandolo ardentemente, incontrare da parte degli adulti rassegnazione e passività, quanto il bisogno di interpretarla, di capirla, di dominarla.
Per questo, a proposito di violenza e di bullismo, non è vero che tutto questo c’è sempre stato, che non stiamo raccontando niente di nuovo, che intere generazioni di ragazzi hanno convissuto con questi stessi problemi. Se si ribadirà ancora una volta che il bullismo non è una novità, dovremo purtroppo constatare che il bullismo ha una sua recrudescenza e che il cyberbullismo rappresenta una novità vera, pesante e diffusa.
Che cosa sta veramente cambiando?
Un dato è certo: è cambiata la storia e la “geografia” delle famiglie (tanti modelli di famiglia con tante provenienze dal mondo intero), è cambiata la comunicazione fra coetanei (con ragazzi eternamente interconnessi tramite le piattaforme sociali più diffuse: Whatsapp, Skype, Facebook, Twitter, Ask…); è cambiata la produzione mediatica e i modelli di riferimento rappresentati; è cambiata la qualità e la diversificazione del tempo libero; è cambiata (o non è cambiata) la Scuola (dipende dai punti di vista).
Il contesto storico-sociale dei Paesi occidentali si è modificato per la crisi economica, occupazionale e valoriale in atto. Il futuro da promessa si è trasformato in minaccia e si sta affermando una cultura del pessimismo e le nuove generazioni vengono educate al mito dell’autonomia, della frenesia creativa, della autoreferenzialità, anziché alla consapevolezza del bisogno dell’interdipendenza reciproca.
I 1000 giorni del Progetto Adolescenza
I 1000 giorni del Progetto Adolescenza della Regione Emilia Romagna, recentemente commentati e sintetizzati, mostrano quanto ci sia ancora molto da fare, perché gli aspetti della sua realizzazione sono tuttora inficiati da:
– una precarietà dello stesso Progetto
– una frammentazione delle proposte educative, informative o formative messe in atto
– un’autoreferenzialità delle Scuole o dei Territori nel progettare occasioni formative
– uno scarso coordinamento fra le varie e diverse iniziative
– una formazione degli operatori ancora incerta e qualche volta improvvisata
– un’insufficiente attenzione al coinvolgimento degli adolescenti
Ancora una volta il vecchio desiderio di “coinvolgere tutti” (tutte le istituzioni) sta diventando il freno difficile da sbloccare perché viene a prevalere la scelta (comprensibile, ma improduttiva) di “condividere – sempre fra tutti – un percorso di sensibilizzazione” che riguarda i ragazzi e le ragazze dagli 11 ai 15-17 anni, toccati da una fragilità esistenziale che li porta a forme di dipendenza mediatica del tutto nuove, di isolamento sociale e abbandono scolastico fino a quello più grave delle violenze del “branco”. (vedere: Il Bullismo a Scuola, by Redazione iograffio.it)
Come stare davanti alle emozioni difficili
In una situazione come questa va affermato il valore di una “comunità educante” che si prende cura degli adolescenti per aiutarli a imparare a come stare davanti alle situazioni emotivamente più difficili.
Aiutare i ragazzi a parlare di sé, a chiedere; metterli nella condizione di essere ascoltati, di essere amati (voluti bene), far capire loro che certi atteggiamenti sono compresi, non accettare alcuna forma di violenza, quella subita o quella agita su altri: è questo il compito urgente da portare avanti.
La scelta deve diventare quella di considerare l’adolescente non più come soggetto fragile, vulnerabile e tendenzialmente a rischio, ma come persona con bisogni evolutivi da aiutare a crescere e con cui condividere situazioni emotivamente anche difficili. Per questo è necessario coinvolgere sempre di più le famiglie per far capire il valore di una educazione alle emozioni, al rispetto, alla cooperazione e alla collaborazione.
La nostra realtà
Le valutazioni di carattere generale che derivano dalla analisi dei 1000 giorni di Progetto Adolescenza elaborate a livello regionale, crediamo che trovino uno stesso riscontro anche a livello locale, distrettuale, del territorio della Romagna faentina, con queste evidenze:
– una macchina organizzativa lenta per gli stessi motivi di cui si diceva sopra (assemblearismo diffuso)
– una conseguente precarietà del Progetto
– una frammentazione delle esperienze e delle proposte,
– una sottolineatura diversa dell’attenzione verso le problematiche adolescenziali, fra Scuola e Scuola, che interferisce anche sulla stessa interpretazione del problema, che può diventare di ordine educativo, conoscitivo, penale, repressivo, ecc.
– uno scarso coinvolgimento attivo degli adolescenti, ma anche delle famiglie
Fatto il punto su questo stato delle cose, se la questione rimane come una priorità educativa e sociale diventa necessario proporre e realizzare fattivamente un percorso che abbia metodo e contenuti di lavoro certi nel suo sviluppo, ovvero:
– una governance snella, veloce, integrata (Enti locali, Scuole, AUSL, esperti di comprovata competenza, associazionismo) e che faccia riferimento a chi ha già messo in capo diverse iniziative, preferendo la terzietà del luogo pubblico (es. Assessorato, Servizi sociali, Centro per le Famiglie o una nuova Istituzione ad hoc)
– una formazione di operatori e insegnanti per imparare a lavorare in rete (per gestire in maniera non improvvisata i progetti, le iniziative e per raccogliere dati di interesse progettuale)
– un obiettivo di lavoro centrato sui bisogni evolutivi degli adolescenti e non solo sulle loro fragilità e sui rischi che quotidianamente incontrano, quanto piuttosto sulla consapevolezza delle loro reali aspettative e delle interdipendenze che si creano in ogni caso fra genitori e figli adolescenti
– una “campagna di sensibilizzazione” sui temi adolescenziali ed in particolare delle violenze agite (bullismo e cyberbullismo), che coinvolga adolescenti della fascia d’età 11-15 anni (scuola media e biennio) e genitori
– una campagna di attenzione al mondo e all’importanza del tempo libero, e alla diversa qualità delle esperienze sperimentate e vissute dagli adolescenti
A Settembre: una Comunità educante, non solo sulla carta
Le nostre proposte
Se le cose hanno da accadere e non solo rimanere chiuse dentro una stanza, con persone che parlano animatamente, le prime proposte concrete che ci sentiamo di fare sono quelle di dare un’anima all’idea, a volte troppo simbolica, di “comunità educante”, e che dovrebbero riguardare:
1) la programmazione di un ciclo di film sul bullismo, da proporre ai ragazzi delle fasce d’età 11-15 anni del Territorio dell’Unione dei Comuni della Romagna Faentina con interlocutori esperti, testimonial di spessore culturale, ideale, valoriale (e non commerciale) e ai genitori, gestito da un gruppo operativo qualificato e competente (proposta da non riservare solo ai ragazzi, ma anche ai genitori, in “seconda serata”);
2) la formazione specifica di un gruppo di docenti, in rappresentanza delle Scuole secondarie di 1° e 2° del Distretto, sui temi della adolescenza, del bullismo e del cyberbullismo per poter conoscere e scambiare le migliori esperienze e pratiche educative, a partire da quelle sperimentate localmente e per approfondire e condividere le modalità di sensibilizzazione degli alunni (11-15 anni), con l’obiettivo di evitare le forme (senza anima) del “volantinaggio” con patrocinio, su argomenti di tale rilevanza e sensibilità, ma di creare disponibilità, emozioni positive, pro-attività. (Sul tema degli “adulti competenti” ed in particolare degli insegnanti competenti sarebbe utile conoscere le considerazioni e la valutazioni di Gustavo Pietropolli Charmet sull’argomento);
3) la programmazione di incontri per sostenere le competenze genitoriali, per raccogliere richieste, proposte e indicazioni in una logica di vicinanza e di prossimità, di valorizzazione dei legami esistenti e da sviluppare i n una “comunità educante”;
4) l’avvio della scrittura di un “Manifesto I care – Scuole libere dal Bullismo”, a cui far partecipare tutte le componenti scolastiche, con giornate di dibattito, di studio e di produzione di documenti, affinché nasca prima di tutto la consapevolezza che i contesti positivi di vita si creano assieme, che il clima vivibile di una Città, di una Comunità e di una Scuola dipende moltissimo dai suoi abitanti, cittadini e studenti.