Crediamo che sia necessario fare il quadro della situazione del bullismo a scuola perché il fenomeno sta crescendo, senza che si individuino bene le dinamiche che si possono osservare o per lo meno che possano fare intravedere le situazioni più a rischio.
Negli ultimi due anni, il bullismo ha trovato un suo spazio nuovo e particolare nella forma della comunicazione digitale (cyberbullismo), con Internet come piattaforma privilegiata, ma è diventato, nello stesso tempo, sempre di più violenza fisica.
E’ bene chiarire che il bullismo è un comportamento, un uso della “violenza” (verbale, psicologica e fisica) praticato da un gruppo o branco (con diversi ruoli dei suoi componenti) in maniera intenzionale, progressiva e ripetitiva verso una persona ritenuta debole o non in grado di difendersi. Può partire dalle offese, dagli insulti, dalle intimidazioni, dalle diffamazioni o dalle denigrazioni fino alle minacce e alle aggressioni fisiche. Le “vittime designate” (ci si passi questo brutto termine) hanno spesso un’età compresa fra gli 11 e i 15-17 anni (scuola media e biennio della secondaria superiore).
I bulli generalmente agiscono sottovalutando il dolore che procurano e confidano nella impunità che “adulti inconsapevoli” possono concedere loro. Loro stessi sono spesso vissuti in contesti violenti o sono stati “ vittime” di violenza.
I dati che riguardano atti di bullismo presentano spesso situazioni e fatti simili tra loro e perciò osservabili e di cui farne motivo di riflessione e di un intervento mirato.
Vediamo chi e che cosa osservare:
1) Le vittime: i bersagli preferiti
2) La protezione, gli amici fidati
3) Il senso di colpa, la vergogna di essere diventato una “vittima”
4) Saper chiedere aiuto subito
5) I complici dei bulli, alleati che spalleggiano o con la paura di diventare una “spia”
6) Il bullo, questo attore “conosciuto”
7) Il cyberbullismo: denunciare subito alla Polizia di Stato o ai Carabinieri
8) La responsabilità dei docenti , dei genitori e degli adulti
9) Scuole/I care “libere dal bullismo”
10) Perché la Scuola
Le “vittime”. I bersagli preferiti. I bersagli preferiti dai bulli e dai loro complici sono spesso bambini o ragazzi introversi, che stanno poco in gruppo e con qualche caratteristica che li rende “diversi“ (bravi a scuola, attenti durante le lezioni) o “deboli” agli occhi dei violenti (stranieri, timidi, con qualche piccola difficoltà motoria o impaccio fisico, ecc) o con più caratteristiche “non accettabili” dai bulli e considerate “dominabili”.
La protezione e gli amici fidati. Il bullismo, quando si manifesta, ha frequenze continuative e avviene in luoghi e momenti della giornata di tipo “informale” (in un corridoio, durante l’intervallo e raramente in classe, prima dell’ingresso, in cortile o dopo il termine delle lezioni, in luoghi solitari e non immediatamente visibili dall’adulto, come le scale, i bagni, le penombre, una strada fuori zona). Per questo bisogna che i “ragazzi individuati come deboli” imparino a proteggersi, a non rimanere mai soli, a cercare di creare rapporti stretti con amici fidati, con cui fare gruppo (essere sempre con almeno due-tre compagni/e di classe o dello stesso ambiente di vita pomeridiana, sportiva, del tempo libero; chiedere ad un adulto fidato di fargli compagnia per il tempo necessario).
Il senso di colpa, la vergogna di essere diventato una “vittima”. Chi viene individuato come “vittima” (è questo un termine improprio) si sente spesso prima di tutto in colpa, in difetto, addossa su di sé sensi di colpa e di paura. Il suo rendimento scolastico tende a peggiorare, a diventare quasi incomprensibile, si isola dentro casa, manifesta cambiamenti e accusa malanni o dolori non confermati o confermabili da un dato clinico. Sente il peso di una “solitudine” che tende ad aumentare e perde autostima. Prova vergogna per aver “subito” una violenza senza aver reagito o potuto reagire. Si colpevolizza per questa sua “paura” o debolezza a reagire (non si sente coraggioso) o a contrastare il bullo o i bulli, fino a pensare, nei casi più problematici, di “meritarsi” l’aggressività dei violenti.
Saper chiedere aiuto. La prima via di uscita per chi è stato vittima di bullismo è rendersi consapevole di non avere alcuna responsabilità nell’essere stato scelto come “vittima”. Essere un bravo studente è un merito, non una colpa, essere timido è una caratteristica emotiva, non un difetto, non avere doti fisiche eccelse è un fatto genetico, che non interferisce sui nostri progetti del momento e del futuro. Confidarsi con un coetaneo fidato, un fratello maggiore o un “adulto significativo” in cui si ha fiducia (e capace di capire e ascoltare), aiuta a trovare soluzioni sagge e a fare “un passo fuori”. Saper chiedere aiuto non è mai automatico, va incoraggiato dall’adulto (genitore e insegnante) non sempre in maniera diretta, ma spesso in maniera indiretta. Le domande dirette a volte rinforzano la scelta del “silenzio” perché inducono a far pensare a delle presunte colpe (“Dimmi che cosa hai fatto…?).
I complici dei bulli, alleati che spalleggiano o con la paura di diventare una “spia”. I bulli (i dati statistici dicono che cinque bulli su sei sono maschi) hanno spesso bisogno di complici, di farsi una banda, di avere un’audience omertosa e connivente, quasi a proteggere e a conservare la loro violenza entro un ambito condiviso da alcuni. Il bullo ha bisogno di complici attivi e passivi. I primi per incitare e giustificare la sua violenza, i secondi per coprirli, proteggerli da sguardi indiscreti, senza reagire come se non stesse accadendo nulla di violento e con la paura di poter diventare una “spia” e quindi poter subire i danni che una spia “si merita”. I genitori dei ragazzi/e complici o alleati che spalleggiano il bullo sono i primi a non rendersi conto dei ruoli che si creano nelle bande o nei branchi (bullo-dominante, gregario-complice) e a difendere fino all’inverosimile il/la proprio/a figlio/a, complice, in quanto percepito e vissuto in famiglia come “debole, buono”.
Il bullo, questo attore “conosciuto”. I bulli e i loro complici non sempre si rendono conto del dolore che procurano alle loro “vittime”, perché faticano a essere empatici. Sono spesso indifferenti e spavaldi sentimentalmente, ma proprio per questo vanno attentamente seguiti e aiutati a prendere coscienza delle loro pesanti aggressività. Sono da guardare (prendersi cura di loro) quando e se minacciano il ritiro da scuola (un dato preoccupante che riguarda l’11% dei ragazzi durante il primo anno di scuola superiore), se esibiscono il consumo di fumo e di sostanze, se bevono alcol (fosse “solo” una birra), se conservano in tasca qualche “aggeggio” metallico, se trasformano la loro spavalderia e si atteggiano in maniera pesante e maleducata verso le coetanee o preferibilmente verso le ragazze e i ragazzi di due o tre anni di età inferiore. Il bullo non è mai un attore sconosciuto, ma un personaggio a cui piace crearsi e dominare la scena, farsi una “corte”, avere a disposizione dei complici.
Il cyberbullismo: denunciare subito alla Polizia di Stato o postale. I casi di cyberbullismo sono progressivamente quelli in maggior aumento con la diffusione dei social e del web (Whatsapp, Twitter, Instagram, Facebook, Telegram, iMessage). Il cyberbullismo è molto più pervasivo e virale del bullismo tradizionale, anche perché non ha un tempo e un luogo preferito per manifestarsi o per essere gestito. Il furto di identità e la pubblicazione di foto o video carpiti con la forza, con l’inganno, o con la stessa compiacenza ingenua della vittima sono purtroppo destinati a crescere, anche per la difficoltà a intervenire presso i gestori dei social per interrompere o impedire la pubblicazione di materiali carpiti attraverso il furto o l’inganno. Ciò che resta da fare è convincere chi ha subito un danno o una denigrazione mediatica a parlarne con un adulto anche per trovare soluzioni e protezioni possibili e a denunciare alla Polizia di Stato o Postale o ai Carabinieri la prepotenza e il danno subiti. Esibire foto o filmati in Rete dà un ulteriore senso di onnipotenza al bullo, ne aumenta la spavalderia e l’aggressività, che può manifestarsi anche con l’oscuramento della propria identità. Per questo ogni intervento di denuncia deve essere quanto mai tempestivo.
La responsabilità dei docenti, dei genitori e degli adulti. Il bullismo spesso avviene lontano dagli occhi degli adulti o sotto gli occhi di adulti che preferiscono stare alla larga a non essere coinvolti, a farsi gli affari loro, perché “la vittima potrebbe essersela cercata”. Chi assiste ad atti di bullismo in luogo pubblico tende a temere che ciò possa capitare anche a lui, in quanto si ritiene lui stesso “indifeso”, “debole”, insicuro”, non protetto. Diventa “complice” suo malgrado, perché il trovarsi in un campo aperto non lo rassicura per niente. Se questo può capitare ad un adulto generico, che non si sente di prendere parte, o di fare una telefonata al 112 o al 113, non è accettabile o sostenibile che possa capitare ad un insegnante in ambiente scolastico. Nel caso degli insegnanti non è accettabile alcun silenzio che diventa connivente quando “si sa, si è visto, si è ascoltato”, anche perché si deve presupporre che scatti un pensiero ed un’azione educativa, che coinvolga una comunità per essere e confermarsi educante, accogliente delle diversità e delle differenze, rigorosa nel rispetto della civile convivenza. L’azione educativa delle Scuole ha come riferimento gli allievi, ma anche gli stessi genitori in un compito difficile, dove spesso e inizialmente ognuno tende a disconoscere la realtà del problema.
Scuole-I care “libere dal bullismo”. Gli allievi di una Scuola (e i loro genitori) devono sapere con chiarezza che la Scuola da loro frequentata è schierata contro il bullismo interno ed esterno e che opera in tal senso con il coinvolgimento di tutti i suoi componenti (dirigente, insegnanti, collaboratori scolastici, genitori, alunni). Procedure, valutazioni, consigli di classe devono costituire “la rete di protezione” per rendere le Scuole “libere dal bullismo” interno ed esterno (che possa riguardare comunque i propri allievi) attraverso un “Manifesto-I care” di azioni educative, conoscitive, formative e repressive, che potranno coinvolgere anche gli organi di Polizia, oltre che i servizi sociali e socio-sanitari istituzionali.
Perché la scuola. La Scuola è il luogo pubblico privilegiato che contribuisce alla costruzione di un’etica, di un senso della giustizia, della partecipazione e della interdipendenza reciproca, che avranno ripercussioni non solo a livello individuale, ma anche a livello sociale. Se questo non dovesse avvenire, ma non c’è alcun motivo di dubitarne, resta difficile chiamare in causa solo le famiglie (che sono certamente una “fonte sensibile” e di responsabilità diretta di molte situazioni critiche) o le Istituzioni locali, che hanno compiti e ruoli sensibili da riaffermare anche e proprio in questi casi.