La Nostra Agricoltura: bisogna fare di più
19 febbraio 2017
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Per parlare della nostra agricoltura vogliamo partire da un dato oggettivo: la terra.
La terra è un capitale economico, produttivo, sociale, non trasferibile. E’ qui e qui rimane. E’ un bene primario irripetibile proprio per questa sua caratteristica fisica: la non trasferibilità in qualche altra parte del mondo, come purtroppo può avvenire, per fini speculativi, per certi servizi e per certe industrie.

Per questo va profuso il massimo impegno per riaffermare il ruolo di primo piano dell’agricoltura del nostro territorio, segnata da anni di crisi, che vogliamo ricordare con alcuni dati provinciali particolarmente critici:

–  un crollo del reddito degli agricoltori, dovuto al calo dei prezzi al produttore di frutta e grano in particolare, per una importazione e concorrenza di prodotti stranieri a prezzi bassissimi;

–  una diminuzione progressiva del numero di imprese agricole (nel 2015 erano 7324, nel 2010 circa 9000 e nel 2000 circa 12000), compensata comunque dal mantenimento della stessa superficie coltivata;

– un ridimensionamento delle superfici agricole destinate in particolare a eccellenze come pesche e nettarine (negli ultimi 15 anni si è infatti passati da 5424 ettari agli attuali 2900 ettari) o a frumento duro con un crollo dei listini del 40%. La stessa produzione di grano ha visto un importante contenimento delle superfici agricole destinate, tranne quelle a grano duro, per motivi legati ad una concorrenza sleale e ad una importazione non rispettosa delle norme che regolano in Italia la sicurezza alimentare e l’uso di fitofarmaci e antiparassitari. Lo stesso embargo alla Russia ha visto una diminuzione del nostro export di frutta e verdura, da gennaio a luglio del 2015 del 20%, pari a 1,1 milioni di tonnellate in meno di ortofrutta fresca esportata  rispetto allo stesso periodo del 2014;

– un dato certamente positivo e soddisfacente riguarda la produzione vitivinicola con vendemmie degli ultimi anni soddisfacenti (3.990.000 qt. d’uva e 3.240.000 ettolitri di vino, provincia di Ravenna). I prezzi sono rimasti stabili o con un leggero aumento. L’export 2016 ha registrato un aumento del 15% per spumanti e frizzanti, confermando il trend positivo degli anni precedenti;

Di fronte a questi dati  viene da chiedere: la nostra terra è ancora un posto per agricoltori? 

Di questi importanti cambiamenti, delle criticità attuali, ma anche delle prospettive e delle linee di direzione da percorrere, ne abbiamo parlato con Marco Casalini, Presidente dell’A.o.p. Vi. Va. e della Coop. Terremerse.

“La risposta a queste problematiche – ci ha detto il Presidente Casalini – sta nelle linee di direzione che si andranno a sostenere e a sviluppare e su come si andrà a ri-costruire la filiera di questo valore, che è la nostra agricoltura locale (romagnola ed emiliana). Sulla capacità e sulla consapevolezza delle imprese agricole di rafforzare e riformulare nuovi e più avanzati modelli organizzativi. L’agricoltura ha bisogno di essere rimessa al centro delle politiche e degli interventi nazionali, regionali ed europei cominciando a smontare un’impalcatura burocratica pesante, che anche nelle piccole cose demotiva l’imprenditore agricolo e si differenzia da provincia a provincia, da ASL ad ASL, con un’interpretazione di procedure, di norme, di strumenti operativi che lasciano spesso l’imprenditore nel dubbio su come operare.
Ridurre tempi, semplificare, agevolare soluzioni di senso pratico, proporre una tassazione ragionevole: è chiedere troppo?
L’agricoltura italiana fa riferimento, per leggi e norme, a ben 4 Ministeri: Agricoltura, Salute, Esteri, Sviluppo economico. Ci sono contraddizioni e prospettive che vanno risolte, mettendo in condizione l’imprenditore agricolo di crescere nello sviluppo della sua azienda e di aumentare la maglia poderale (oggi mediamente di 8-9 ettari; per il domani sicuramente dovrà aumentare), senza far corrispondere a  questa crescita anche un aumento del danno.
Più cresco e più perdo! Questa situazione non può essere accettata da nessun agricoltore e imprenditore! ”

Se queste sono le premesse, qual è la linea di lavoro verso cui andare?

“L’imprenditore agricolo, perché di questo dobbiamo parlare, va messo nella maggiore condizione di conoscere, sapere, scegliere come e dove e perché orientare le sue produzioni. L’agricoltore va messo nella situazione di avere tutti gli elementi per conoscere e decidere. Le cooperative o i consorzi di produttori, a cui sono associati il 70% degli imprenditori agricoli in Emilia Romagna, devono fornire agli imprenditori agricoli conoscenze e competenze, proponendo gestioni capaci di ottimizzare risorse, di contenere costi, di individuare soluzioni tecniche o biologiche per contrastare i danni di una meteorologia avversa o di malattie che possono colpire piante, verdure, coltivazioni. Le cooperative e i consorzi devono introdurre l’idea che oggi si deve pensare e lavorare con una visione grande, ampia.

Inoltre – tema non secondario – la stessa e importantissima questione dell’export di prodotti ortofrutticoli va affrontata con la consapevolezza di realizzare sul mercato mondiale presenze e quantità molto importanti di prodotti di qualità per riuscire a spuntare prezzi decorosi e remunerativi per i produttori agricoli. C’è bisogno di più unione fra cooperative e consorzi di produttori, di maggior co-imprenditorialità, superando vecchie sigle e vecchi mondi, che hanno diviso troppo la nostra agricoltura. Bisogna essere molto attenti alle quote di mercato mondiale che si possono dominare ben sapendo che essere primi su di un prodotto a livello locale, non significa molto quando  trasferiamo quel dato a livello europeo o mondiale, dove si va a competere con nazioni e colossi di produttori assai agguerriti ”.

Ritornando alla nostra agricoltura, ai nostri imprenditori, alle nostre cooperative e consorzi, alle istituzioni locali e regionali, qual è l’obiettivo di breve e medio termine da indicare?

“Come si vede il cambiamento necessario riguarda tutti perché è di tipo culturale (le abitudini e gli stili di alimentazione dovrebbero dare valore al prodotto ortofrutticolo locale), normativo e burocratico (l’impalcatura burocratica attuale è insostenibile), imprenditoriale (oggi l’azienda agricola va pensata solo in termini di impresa e gestita come tale), associativo e organizzativo  (le cooperative e i consorzi di produttori sono un mezzo che poter guardare oltre il proprio territorio e per far competere la nostra agricoltura a livello europeo e mondiale e quindi ne va incentivata il valore e l’unione), economico (il produttore deve produrre bene, perché è la qualità del prodotto il solo elemento che può favorire quotazioni di mercato competitive ma nello stesso tempo deve veder crescere il suo reddito e non vederlo corroso anno dopo anno).

Lo stesso rapporto con la grande distribuzione commerciale non può essere giocato, per certi prodotti, sulle aste al massimo ribasso. Va visto per esempio con grande interesse il rapporto contrattuale appena concluso con la Barilla, (nonostante si sia chiuso con un prezzo per l’agricoltore inferiore all’anno scorso, deve considerarsi uno strumento per l’imprenditore utile e da sostenere) anche con la mediazione della Regione Emilia Romagna, per la produzione di grano duro da parte delle imprese emiliane e romagnole per tutelare qualità delle produzioni e della filiera alimentare assieme allo loro redditività. Lo stesso tipo di contratto si dovrà cercare di estendere anche ad altre grandi aziende internazionali dell’alimentare ortofrutticolo, per esempio per la produzione del pomodoro o per i prodotti dell’ortofrutta da conservare surgelati o da commercializzare freschi. Ciò che dobbiamo percorrere è una maggior condivisione di linee di fondo, che attualmente mancano ad una politica che voglia mettere l’agricoltura in primo piano “.

Le tante considerazioni del Presidente Casalini ci hanno convinto che la nostra agricoltura, quella dei nostri Territori, non sia ancora al centro delle nostre politiche nazionali e regionali, per non parlare di quelle europee, ma tutt’al più di lato, e che non sia ancora così diffusa l’idea che occorra fare di più.

Abbiamo la convinzione che siamo dentro ad una fase di transizione che dura da troppo tempo, sia per responsabilità politiche che imprenditoriali.
Le responsabilità politiche percorrono i vari livelli istituzionali: a partire dal nazionale, a volte, incapace di fare valere a livello europeo la tutela di una specificità sia socio-territoriale, sia di prodotto.

A livello locale Regione e Comuni (ma qui entriamo in un limbo ancora indefinito: Città metropolitane, Aree vaste, Unioni di Comuni): manca una visione d’insieme capace di promuovere una cultura e una coscienza tesa a valorizzare il patrimonio “terra” e il territorio come beni non trasferibili, la professionalità di imprenditori e cooperatori frutto di una storia e di una evoluzione lavorativa quasi centenaria e la qualità del prodotto.

A livello imprenditoriale occorre una gestione innovativa dell’intera filiera tesa a superare diffidenze e vecchie rendite di posizione ormai anacronistiche per arrivare ad una catena che, dal produttore al consumatore, sia capace di garantire a ciascun attore una redditività in grado di remunerare l’investimento, di garantire al consumatore un prodotto “sano” in termini qualitativi ed etici, condizione essenziale per la tenuta di un comparto di vitale importanza per il nostro territorio.

Ritrovare il senso, la direzione e l’unitarietà di questo immenso valore che è la nostra terra e superare le vecchie distinzioni sembra l’unica cosa giusta da fare. Oggi.

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