Ogni giorno che passa ci mostra una Romagna divisa, confusa e incerta. E una provincia di Ravenna spezzata nelle soluzioni campanilistiche che va adottando.
Dapprima siamo partiti con la Legge denominata Italicum, che ha frazionato l’intera Romagna disaggregandola in tre territori elettorali :
- Forlì, Cesena e Rimini insieme
- Faenza e parte del Lughese con Imola e Bologna,
- Ravenna-Cervia e l’altra parte del Lughese con Ferrara
La prima perplessità che sorge riguarda la definizione dei Collegi della nostra Regione e perché mai non abbia preso forma e sostanza un unico Collegio elettorale della Romagna intera, quasi a disattendere aspettative, leggi regionali e obiettivi di lavoro.
Il non riconoscimento di una identità romagnola unica dovrebbe essere spiegato meglio, perché ciò che è avvenuto, non è stato un incidente tecnico, ma l’inizio di un percorso ormai inarrestabile: una Romagna a geometrie variabili.
Una Romagna multiforme e multidirezionale può forse sembrare un’opportunità, ma è soprattutto un grande rischio, perché lascia le cose come stanno, anzi le mina indebolendo la forze delle richieste.
Le troppe sofferenze dei nostri territori di fronte alla crisi ( i luoghi di lavoro che chiudono, il disorientamento progressivo dei cittadini) avrebbero bisogno di un progetto unitario forte.
Questo per dire che occorrono idee chiare sul governo e sullo sviluppo della nostra Regione e sulla nostra economia romagnola, tra cui dovrebbero spiccare la nostra agricoltura, il turismo le nostre Università e gli Istituti di Ricerca, una tassazione locale ridotta, le infrastrutture che servono (la Variante che attraversa Bologna e che Bologna ci nega, la quarta corsia del’A14 o le bretelle di collegamento extraurbane), le fonti e le energie rinnovabili, un controllo idrogeologico del territorio, con la realizzazione di casse di colmata lungo i nostri fiumi, un Porto attivo e non solo autonomo, un Turismo balneare, dell’entroterra, culturale non frazionabile o un sistema fieristico rinnovato. La Romagna del futuro non è una questione di marketing, ma di sviluppo e di crescita di un territorio, che deve costituire un unicum.
Diversamente riuscirà impossibile cercare di parlare
- di Città Metropolitana della Romagna, come nuovo assetto istituzionale
- di Unioni dei Comuni se poi vengono dimezzate
- di un’ASL della Romagna, tutta da costruire senza volgere lo sguardo al passato
- di un’Agenzia del Turismo chiamata a battere un forte colpo
- di un’Autorità del Porto a cui va dato respiro e forza
- di Città Capitali della Cultura come identità aggreganti di un intero territorio a forte vocazione internazionale
se non riusciamo a parlare di progetti condivisi e concreti.
Viene da chiedere: ci sono oggi tavoli di confronto sulle tante e diverse tematiche?
Sono in grado di tradurre intese di massima in progettualità?
Come singoli Territori del grande bacino romagnolo coltiviamo relazioni produttive con i nostri vicini di campanile o siamo solo capaci di cercare e creare contrasti e divisioni?
La vicenda dei Collegi elettorali non è stata perciò una svista, rabberciata alla meno peggio, ma l’inizio di qualcosa che ci ha trovati prima di tutto impreparati e perciò divisi, come tutti i fatti successivi lo hanno e lo stanno dimostrando.