E’ da un po’ di tempo che ripetutamente si parla di Sanità ospedaliera, in vista dell’applicazione del Piano aziendale di riorganizzazione della rete ospedaliera. Si sono fatti molti incontri nei Consigli comunali, si sono dibattute proposte con i Sindacati confederali, si sono stilati “ordini del giorno” e i Partiti o movimenti, ognuno per la sua parte, hanno cercato di aggiustare il tiro di ciò che è possibile e di ciò che è impossibile, con l’obiettivo di conservare consensi e un po’ meno di cercare soluzioni durevoli, di qualità, di senso e di valore per i cittadini e per le persone che hanno bisogno di cure.
La stessa Azienda sanitaria della Romagna, nata a gennaio 2014 con grandi aspettative e potenzialità, sembra tuttora poco esplicita, a volte anche ambigua, nella definizione delle sue scelte, pur a fronte di Linee e indicazioni di riorganizzazione della rete ospedaliera, fornite dalla Regione Emilia Romagna, molto chiare. Ne è la prova il “ritorno silenzioso e mesto” (condiviso da molti), di riportare la Sanità ospedaliera romagnola dentro i vecchi confini delle ex quattro Aziende sanitarie, senza il dubbio che chi ha problemi di salute, possa avere bisogno di ben altro.
Il primo effetto di tutti questi incontri è che ognuno ha cercato di portare avanti le sue ragioni per tenersi libero il proprio campo d’azione, in un dialogo che spesso è diventato fra sordi.
La stessa Azienda sanitaria della Romagna ascolta tutti, tende l’orecchio verso “chi ha maggior peso specifico”, ma spesso conclude ribadendo (salvo nuove decurtazioni e piccolissime concessioni) le sue scelte originarie, al di là di ogni ragionevole dubbio e di ogni logica funzionale o locale da considerare. Gli esempi non mancano e sono sotto gli occhi di tutti e purtroppo dimostrano come sia del tutto carente il livello di rappresentanza e di governance delle Istituzioni locali nell’Azienda sanitaria della Romagna (vedi: Ufficio di Presidenza).
I Comuni o i Partiti/Movimenti oramai hanno predisposto il loro canovaccio orientato a dare ascolto a chi “alza la voce”, cercando di lasciare al tempo la soluzione dei problemi, senza ricordare ciò che è successo nell’ultimo decennio alla nostra Sanità ospedaliera, dove si è parlato molto, ma sostanzialmente si è rimasti fermi in tema di innovazioni, di progetti di alto valore clinico (esclusi casi rari se non unici), di collaborazioni interaziendali, preferendo il tran-tran del quieto vivere e il solo tema della “austerità dei bilanci”.
Oggi non è più possibile continuare su questa strada senza tentare di portare avanti un briciolo di verità che ci faccia parlare dei reali bisogni di cura dei nostri cittadini, delle ansie e delle paure che toccano le persone che hanno bisogno di cure importanti e di qualità, qualunque sia il loro reddito economico e il loro stato sociale.
C’è un tema politico dibattuto in tutti gli incontri che riguarda la questione della prossimità e della qualità delle cure, che andrebbe sciolto una volta per tutte, dicendo cose vere e non cercando di “addomesticare” il problema.
La nostra Regione (lo si dovrebbe sapere) si è espressa – a ragione – perché nella riorganizzazione delle reti ospedaliere prevalga “l’erogazione delle cure in condizioni di appropriatezza, efficacia, efficienza, qualità e sicurezza” e per questo obiettivo ha indicato le competenze cliniche minime e necessarie (volumi, qualità ed esiti delle prestazioni), perché ogni servizio ospedaliero, ogni professionista medico possa intervenire per curare adeguatamente la persona malata, per mantenere le sue competenze e prestazioni cliniche ad un livello alto e progressivamente per migliorarle, assicurando il supporto indispensabile delle tecnologie più importanti e l’organizzazione funzionale e stabile di equipe mediche e infermieristiche necessarie alle varie emergenze-urgenze, che si dovessero verificare.
Nel dibattito fra qualità delle cure e prossimità delle cure non ci dovrebbero essere discussioni, perché le persone, ognuno di noi, con un serio problema di salute o per interventi specifici, chiede di poter usufruire di cure di qualità, facendo progressivamente decadere il problema della prossimità.
Questo perché il problema della prossimità è un’altra cosa, riguarda spesso livelli intermedi di cura o di degenza ospedaliera, di post-acuzie, di prevenzione o di sostegno alla persona debilitata o di dimissioni protette adeguatamente organizzate.
L’impegno della politica (di tutta la politica) su questo è certamente in ritardo, perché dovrebbe concentrarsi di meno sulla questione dei “consensi elettorali” o dei “bacini elettorali da presidiare”, ma più sulle migliori soluzioni cliniche da proporre, sviluppare , sostenere, implementare, al di là dall’essere immediatamente sotto casa o a casa del vicino e la stessa Azienda sanitaria non dovrebbe ricorrere o riprodurre scene ambigue circa il “primato della politica quale valore di riferimento per l’Azienda”, per poi continuare a ribadire tutte “le soluzioni della prima ora”, come se nulla fosse successo, come se nessuno avesse parlato, ascoltando solo alcuni e non gli altri.
Crediamo che sia ancora una volta necessario partire del “Progetto regionale di riorganizzazione della Rete ospedaliera”, non perché sia perfetto, (come nel caso del calcolo dei Posti letto da tagliare, dove si sommano e si salvano prima i Posti letto delle Cliniche private e poi si interviene, ovvero si tagliano i posti letto pubblici!), ma perché è serio, centrato sul valore delle competenze cliniche da assicurare a Presidi/Servizi/Dipartimenti/Reparti per curare adeguatamente e con qualità le persone che hanno bisogno di cure.
A noi cittadini tocca però quel salto di qualità che ci porti fuori dalle diatribe politiche, che ci metta dentro ai reali problemi di chi ha un bisogno serio di salute o necessita di interventi in totale o ampissima sicurezza. Facciamoci le domande giuste e non da tifoserie sfilacciate: come e da chi vorremmo essere curati?; se questo dovesse comportare il piccolo sacrificio di un piccolo spostamento in un ospedale vicino adeguatamente attrezzato e qualificato siamo disposti a farlo? Siamo disposti a voltare la frittata del “vogliamo tutto, sotto casa e subito?"
E’ evidente che dentro questa riflessione non ci sta il lasciare perdere il nostro Ospedale che è un Ospedale per acuti, ma al contrario metterlo nella condizione di competere, di migliorarsi in alcuni servizi e specialità, di primeggiare eventualmente per alcuni specifici interventi, senza però diventare mediocre in nome della prossimità diffusa dei suoi servizi.