Perché non riusciamo a parlare di sicurezza
7 maggio 2017
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Per molti cittadini sarebbe importante che si parlasse di sicurezza in termini chiari, comprensibili, realistici senza scadere nella propaganda delle ormai note e vecchie posizioni, dove alla fine ciò che rimane è il solito immobilismo che sembra far comodo a tanti.

La questione “sicurezza” (i cittadini sanno di che cosa parliamo) non è qualcosa che riguarda solo la politica per cui ognuno dei partiti ha paura di uscire dal suo seminato, ma qualcosa di più profondo che i cittadini vivono anche in maniera inconsapevole, partendo dalle loro condizioni di vita (di essere anziani, di essere donna, di essere un lavoratore che tira la carretta o ha un campo da coltivare, di essere una famiglia a monoreddito). I cittadini ogni giorno si confrontano con fatti, episodi, situazioni di vita che li sfiorano, che lentamente interiorizzano fino a scoprire che la società in cui vivono sta radicalmente cambiando, che è una “società impotente”, dove si è esposti ai colpi di un destino o di un futuro che sarà del tutto diverso dal passato.

Non c’è nulla di razzistico

Il vivere quotidianamente a contatto con “estranei”, con storie giornalmente raccontate dai giornali con titoli clamorosi, con fatti vissuti direttamente o indirettamente non è un dato indifferente. Di fronte alle nostre paure e insicurezze non c’è nulla di razzistico nel provare impotenza, rabbia, rancore, insieme a qualcosa di più profondo che crea reazioni diverse le une dalle altre, ma tutte “legittime” di fronte a ciò che vediamo o tocchiamo: di apertura, di spaesamento, di insicurezza, di aggressività fino ad arrivare alla indifferenza vera e propria (fregarsene di tutto e di tutti).

Finora, come spesso capita, abbiamo rimandato le questioni più importanti del “vivere bene  insieme” alle soluzioni tecniche, con una diffusa e generalizzata videosorveglianza o ai sempre più frequenti interventi delle Forze dell’ordine, che giustamente si prodigano anche nella diffusione di Comunicati Stampa, per rassicurare sempre di più la popolazione sulla loro attenta efficienza.

Tutto ciò però non scalfisce l’ansia o l’angoscia dei cittadini perché ciò che non cambia è la società vera, il clima generale, è la non applicazione di norme come “la certezza della pena”, come il carcere assicurato nella sua completezza a chi si rende colpevole di reati truci e ripetuti verso persone indifese, deboli o sole o verso il patrimonio e il lavoro quotidiano.

La giustizia di Stato non funziona

Una videocamera in più a Faenza è allora poca cosa di fronte al silenzio della Politica o dei Parlamentari, che dovrebbero respirare l’aria dei loro territori di vita. La percezione, vera e non presunta, che i cittadini hanno è che la “giustizia di Stato” non funziona, tanto che a volte basta  poco per sperare che “una rondine faccia primavera”, tanto è il bisogno e il desiderio di “sicurezza” dei cittadini.

Ma allora perché la Politica locale e i Politici non riescono a parlare convintamente di sicurezza?
Forse per gli stessi motivi e le stesse incertezze che riguardano i “comuni mortali”: si sentono impotenti sul come procedere, hanno il timore di dire qualcosa non in linea con il proprio Partito o Movimento nazionale, non è richiesto loro di avere una visione più generale dei problemi e dei sentimenti che vivono le persone, non sono chiamati a interrogarsi sulle questioni profonde, culturali, antropologiche, affettive, di solitudine che vivono i cittadini, non si sentono di dover affrontare questioni giuridiche complesse, che ritengono siano materia di altri, di  magistrati, avvocati, tribunali.

Il dato nuovo però è che i cittadini questo lo hanno capito, sanno di essere dei  “dimenticati” per cui non potendo fare diversamente anche loro si adoperano per installare telecamere, tirare su grate, allevare “cani da guardia”, pensare a come difendersi legittimamente (con raccolte di firme, ma non solo).

La paura chiama paura e raramente si fa domande di cultura, sui cambiamenti demografici, sulle reali condizioni di vita delle persone e sulle “sicurezze” da mettere in campo. Sempre più raramente ci interroghiamo sui profondi cambiamenti della nostra Società, sulle situazioni di esclusione, di fragilità, di povertà e di paure vere o percepite dalle persone.

Eliminare la paura del futuro

I dati demografici della nostra Società ci presentano una popolazione regionale che sta invecchiando, una diminuzione dei giovani cosiddetti “nativi”, un aumento di famiglie uni-personali o mono genitoriali, una crescente instabilità coniugale, una disoccupazione significativa nella fascia  15-29 anni, seppur contenuta rispetto il resto del Paese, un crescente disagio abitativo, un importante tasso di abbandono scolastico, che diventa altissimo se rapportato agli studenti stranieri,  flussi migratori sempre più cospicui: parliamo di dati davvero preoccupanti.

Solo questo dovrebbe bastare per dire che c’è bisogno di più coraggio, anche personale, nel parlare di “sicurezza” e di “sicurezze”, nel promuovere leggi rigorose nella loro applicazione (la certezza della pena) e una maggior vicinanza ai problemi delle persone, imparando ad ascoltarle non solo nelle sedi competenti (servizi sociali, ospedali, scuole), ma anche in tutte le occasioni anche informali che il cittadino vive, anche perché…chi è troppo dimenticato, poi ricorda tutto d’un colpo.

Solo dall’ascolto e da un diverso senso di responsabilità verso chi si sente insicuro, fragile e impotente può rinascere qualcosa di buono. Mettersi oggi nella prospettiva di “curare” il futuro, di ridurre o eliminare la paura del futuro può dare senso compiuto  alla Politica.

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